Il Ponte di Genova al tempo del COVID-19

Oggi i telegiornali nazionali hanno annunciato che è stato concluso il varo del nuovo ponte di Genova. Un cantiere iniziato nel 2019 che non si è mai fermato e che continua a lavorare, per garantire a Genova il collegamento tra la riviera di Ponente e quella di Levante.

Il pensiero va alle vittime del crollo del Ponte Morandi, una ferita che rimarrà aperta nel cuore di Genova e  dell’Italia intera, perché quel ponte che si sta ricostruendo ricorderà per sempre la tragedia che si è consumata in silenzio. In silenzio perché le crepe, attraverso le quali si infiltrava l’acqua deteriorando lentamente il cemento armato, sono state ignorate per anni, finché le numerose sollecitazioni a cui veniva sotto posto il ponte lo hanno compromesso definitivamente fino al crollo.

Per quanto sia positivo che i lavori avviati dalla Salini-Impreglio su progetto di Renzo Piano vadano così spediti, contro tutti i pronostici che vedevano un lavoro così imponente procrastinarsi per anni, come solito per i lavori statali. Viene da chiedersi perché si è dovuto attendere un evento tragico, perché sono dovute morire delle persone per mettere in moto la macchina del Governo e far si che la struttura fosse abbattuta e ricostruita.

Questa incognita porta con s’è altri quesiti, viene da chiedersi, anche, perché c’è voluto un virus ed altrettante morti per puntare i fari su un sistema sanitario stretto dalla morsa dei tagli economici.

Viene inoltre da chiedersi perché nei paesi toccati dal terremoto, la macchina dello stato sia ancora così lenta e la ricostruzione tardi a vedere la luce.

Si è detto tanto, tra polemiche e critiche, si è detto che il paese è vecchio, che c’è molto da rifare. Ciò che è emerge è che sono mancate le giuste professionalità ed è mancato il rispetto per il prossimo.

Resta la tragedia, la morte di tante persone che ricorderemo per sempre.

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