Ornella Vanoni nell’eternità

Ornella Vanoni non c’è più, si è spenta ieri sera all’età di 91 anni a causa di un malore.

Questa grande ed immensa artista, che si è guadagnata il posto d’onore tra i personaggi che hanno fatto la storia della canzone e della televisione Italiana, mancherà a tutti.

La sua storia bene o male la conosciamo tutti, chi invece ha voglia di saperne di più troverà tanto materiale e tante storie sopratutto nel libro della sua autobiografia “Vincente o perdente”.

Purtroppo non ho mai avuto la fortuna di vederla dal vivo, ma è uno di quei personaggi che riusciva a parlare a cuore aperto andando dritto a toccarti l’anima. Per questa caratteristica raggiungeva comunque tutti, grazie al programma di Fabio Fazio, complice anche l’età e la sua ironia senza freni, ormai faceva parte della vita di ognuno di noi.

Strana a volte la vita, i suoi esordi nel programma “Fatti e fattacci” con Gigi Proietti e l’epilogo a “Che tempo che fa”, quasi dovesse chiudersi un cerchio.

In tanti l’hanno amata, in pochi l’hanno odiata, per quella sua necessità di vivere, di essere se stessa senza compromessi.

Molti sono gli artisti, suoi compagni di “viaggio” ed amici che in queste ore la stanno omaggiando con i loro messaggi.

Certi caratteri e personalità devono essere per noi un esempio positivo di come si debba apprezzare la vita in ogni istante anche quando fa più male, perché è in quei momenti che traiamo la forza per risollevarci ed andare avanti e conosciamo meglio noi stessi.

Se leggerete il suo libro capirete cosa intendo.

“Eternità, spalanca le tue braccia – Ornella Vanoni é là- accanto alla felicità che dorme”[tratto dal testo L’Eternità].

Foto: proprietà di @ornellavanoniofficialpage Instagram

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Leggi anche Vincente o perdente. Una splendente Ornella Vanoni.

Gravissimo atto intimidatorio ai danni di Sigfrido Ranucci

Durante la scorsa notte un ordigno è stato fatto esplodere sotto l’auto del giornalista e conduttore di Report, Sigfrido Ranucci.

Il giornalista si trovava presso la sua abitazione nel comune di Pomezia, quando l’ordigno è esploso. Il veicolo, che era parcheggiato davanti alla casa di Campo Ascolano, esplodendo ha danneggiando anche l’auto della figlia di Ranucci.

Sul posto sono intervenuti i carabinieri, Digos, vigili del fuoco e scientifica.

Sul profilo X di Report si legge : “La Procura di competenza si è attivata per le verifiche necessarie ed è stato avvisato il Prefetto. La potenza dell’esplosione è stata tale per cui avrebbe potuto uccidere chi fosse passato in quel momento”.

Solidarietà a Sigfrido Ranucci e famiglia.

Per ulteriori aggiornamenti: Rai

foto: Corriere Roma

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Diane Keaton. Ultimo saluto del mondo dello spettacolo ad una grande attrice

Il mondo dello spettacolo dice addio a Diane Keaton, che si è spenta all’età di 79 anni. “Un’attrice di grande talento, anche se lei non se ne rendeva conto” così la ricorda Jane Fonda su Instagram.

Diane Keaton, si è fatta apprezzare come musa di Woody Allen, ma ha saputo farsi spazio nel mondo dello star system hollywoodiano riuscendo ad interpretare ruoli differenti, dando sempre carattere ai suoi personaggi.

Tutti quanti almeno una volta abbiamo, riso, pianto o saltato di gioia grazie alle sue interpretazioni; ruoli che interpretava con passione facendone emergere tutti colori delle emozioni.

Ciò che però cattura sempre l’attenzione è quel suo sorriso generoso ed al contempo timido, imbarazzato, di chi ancora non si è abituato alla propria fama, ma che riesce comunque a incantare lo spettatore.

Molte colleghe hanno voluto omaggiarla con parole di stima e sincero affetto, ciò rafforza l’immagine di Diane Keaton come una persona di enorme valore non solo sul piano professionale ma anche su quello personale.

La Keaton è stata una delle prime attrici ad uscire dagli schemi rigidi imposti dal mondo dello spettacolo che volevano attrici sempre perfette in tutto, ha saputo essere diversa ed autentica, aprendo la strada ad un nuovo modo di recitare. Per questo motivo come dice Meryl Streep “Diane non se ne va davvero.”; ma continuerà a vivere in tutte le donne ed attrici che oseranno essere vere.

Per conoscere meglio Diane Keaton leggi anche la sua biografia

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Instagram: @Cultura_al_vento

Immagine: proprietà di Diane Keaton fonte profilo Instagram @diane_keaton

Addio a Franco Santopolo

Appresa ieri sera la notizia della scomparsa di Franco Santopolo, agronomo ed intellettuale poliedrico catanzarese. Doveroso per me spendere qualche parola a ricordo di chi ho conosciuto durante i corsi di storia e di aggiornamento sui cambiamenti ambientali, in un ambiente ricco e prolifero di dibattiti e ricerca di innovazione qual’è la Suola interdisciplinare cosmopolita.

Purtroppo non ho fatto in tempo a conoscerlo di persona, in qualche modo la sua scomparsa mi ha molto toccato. Forse per quel misterioso meccanismo che si crea quando delle vite si incontrano e si conoscono anche solo attraverso la lettura di articoli o lo scambio di opinioni, o il far parte di una stessa realtà dove si è condiviso un percorso e ci si propone di portare avanti le stesse battaglie.

Mancherà il suo contributo attivo come esperto della natura; grazie alle sue competenze era molto apprezzato e stimato in ogni ambiente, per il suo acume e la sua capacità di vedere oltre gli schemi rigidi della disciplina.

Così lo ricorda Il proff. Piero Bevilacqua (ideatore della sopracitata scuola) sul quotidiano La Nuova Calabria : “Dotato di una straordinaria memoria, era in grado di connettere i fenomeni naturali più diversi, spaziando genialmente dalla botanica all’entomologia, dalla chimica alla biologia. Ma Franco era anche un cultore delle scienze umanistiche, un lettore appassionato di testi letterari, e un autore prolifico di scritti di saggistica  sociologica e politica, di poesia, di letteratura, pubblicati autonomamente o su riviste. Negli ultimi anni era stato un costante collaboratore della rivista Albatros.

Pur provenendo da studi tecnici, aveva sin da ragazzo manifestato un interesse entusiastico per i fenomeni letterari del Novecento. Erano i primi anni ’60, quando, insieme ad altri giovani catanzaresi, pubblicò su un foglio d’avanguardia una brillante intervista a Pier Paolo Pasolini che si trovava in visita a Catanzaro. Da lì prese avvio la formazione di un piccolo gruppo di entusiasti in formazione, che diedero vita al circolo culturale “Piero Gobetti”, arrivando a pubblicare due numeri di una rivista che si intitolava, nientemeno, Il Manifesto, in omaggio, ovviamente, al celebre testo di Marx ed Engels del 1848. Facevano parte di quel gruppo giovani che avrebbero fatto strada nel campo degli studi e delle arti, oltre che delle professioni. Da Gianni Amelio a Mario Alcaro, da Giulio Jannuzzi a Marcello Furrjolo, da Nicola Ventura a Nuccio Marullo, a tanti altri che in questo momento di emozione non rammento. “

La sua scomparsa come si può vedere ha toccato molte persone, sia del monto intellettuale che politico catanzarese. Era molto attivo anche nelle battaglie portate avanti da Italia Nostra sezione Catanzaro, alle quali contribuiva non sono con le sue competenze, ma sopratutto con l’ottimismo e la motivazione di chi lotta per ciò in cui crede.

Chi lo ha conosciuto dovrà fare tesoro del suo esempio e continuare a lottare con vigore le battaglie che di qua a venire ci aspettano.

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Addio a Pippo Baudo

Nato a Militello il 6 giugno del 1936, ci lascia all’età di 89 anni Pippo Baudo, storico presentatore del Festival Sanremo, Novecento, Fantastico ed altri programmi dove la musica ed i loro autori erano al centro della scena.

Per molti Pippo Baudo è stato e resterà il volto della televisione italiana più conosciuto e noto, molti sono i programmi che ha condotto e che lo hanno visto protagonista delle evoluzioni della televisione italiana.

Come ha scritto Fulvio Giuliani, nominare Pippo Baudo è come ripercorre il viale dei ricordi, ricordi che ci vedono tutti seduti davanti alla Tv a vedere il programma canoro nazionale, chi con la famiglia, chi con gli amici, ad ammirare le star italiane ed internazionali in quel mondo fatto di luci e colori.
Per molti è stato uno shock non vederlo più condurre il Festival di Sanremo e doversi abituare a continui cambi di registro e conduzione, ma come diceva lo stesso Pippo “ The show must go on”. E fu proprio con queste parole che si sancì il cambio di passo nel modo di fare televisione e di condurre.

In un mondo che ormai corre frenetico e che non ti permette più il tempo di metabolizzare i cambiamenti, sempre più frequenti e repentini in ogni ambito, perdere una figura come Pippo Baudo significa perdere un’altra parte di quella generazione di professionisti, intelligenti e colti che sapevano entrare nelle case delle persone in punta di piedi, che con coraggio si misuravano con star internazionali e novità senza mai essere arroganti.

Un mostro sacro della Tv, difficile da sostituire, che ha saputo condurre il cambiamento del mondo televisivo con disinvoltura lasciando un’impronta indelebile in ognuno di noi.

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Addio a Franco Ferrarotti padre della Sociologia italiana

Nato a Palazzolo Vercellese il 7 aprile del 1926, Franco Ferrarotti ha avuto un’infanzia difficile a causa della salute cagionevole, ma fu un grande appassionato di libri ed ebbe modo così di dedicarsi alla lettura, non ha mai smesso di coltivare la sua passione fino a diventare professore di Sociologia ed è stato il primo ad introdurla in Italia.

Ha lavorato con Adriano Olivetti (dal 1948 al 1960), elaborando per suo conto il progetto politico e sociale di Comunità e, negli anni, ne ha ricortato la visione e gli ideali. Fu deputato indipendente nel Parlamento durante la terza legislatura (1959-63), in rappresentanza del Movimento di Comunità fondato da Olivetti, di cui prese il posto dopo le sue dimissioni dalla Camera. Su questa importante collaborazione ha pubblicato Un imprenditore di idee. Una testimonianza su Adriano Olivetti(Edizioni di Comunità, 2001) mentre dall’esperienza parlamentare nacque Nelle fumose stanze. La stagione politica di un ‘cane sciolto’(Guerini Studio, 2006).

Intrapresa la carriera accademica ha vissuto le rivolte studentesche del ‘68.

Ha frequentato numerosi intellettuali, di cui ci ha lasciato ricordi appassionati, è stato fine osservatore delle evoluzioni culturali e sociali, sopratutto italiane. Per tutti coloro che hanno letto i suoi libri, hanno seguito le sue lezioni o visto le sue interviste è considerato il padre della Sociologia italiana.

Ferrarotti ha insegnato in numerose università straniere, specialmente nordamericane (Chicago, Boston, New York, Toronto, Mosca, Varsavia, Colonia, Tokyo e Gerusalemme) e fino al 2002 è stato professore di sociologia all’università La Sapienza di Roma.

Fondò, con altri colleghi, il Consiglio dei Comuni d’Europa a Ginevra nel 1949; fu direttore dei progetti di ricerca sociologica presso l’Oece (ora OCSE) a Parigi nel 1958-59.  

Nominato direttore di studi alla Maison des Sciences de  l’Homme di Parigi nel 1978, è stato insignito del Premio per la  carriera dall’Accademia nazionale dei Lincei nel 2001 e del titolo di Cavaliere di Gran Croce al merito della Repubblica dall’allora  presidente Carlo Azeglio Ciampi nel 2005.

Era Membro della New York  Academy of Sciences e presidente onorario dell’Associazione Nazionale  Sociologi. Generazioni di studenti ricordano le appassionanti lezioni di Ferrarotti all’università romana. Provocatori i suoi interventi sui diversi temi politici e sociali del paese dagli anni ‘60 fin quasi ad oggi.

L’attività di ricerca e di studio di Ferrarotti è contenuta in una mole enorme di scritti che ha continuato a pubblicare fin oltre i 90 anni.

Fra le sue opere, Sindacati e potere (1954); La protesta operaia (1955); La sociologia come partecipazione (1961); Max Weber e il destino della ragione (1965); Trattato di sociologia (1968); Roma da capitale a periferia (1970); La sociologia del potere (1972); Vite di baraccati (1974); Studenti, scuola, sistema (1976); Giovani e droga (1977); Storia e storie di vita (1981); Il Ricordo e la temporalità (1987); Fondatore, con Nicola Abbagnano, dei Quaderni di sociologia, ha diretto anche la rivista La critica sociologica.

Tra il 2019 e il 2020 l’editore Marietti ha pubblicato l’Opera omnia di Ferrarotti composta da sei volumi per un totale di cinquemila pagine.

Il suo sguardo sulla gente e sulla società non si è mai spento, come testimoniano le sue riflessioni sulla nostra società dove “non tutto è numericamente misurabile. Ed è difficile, probabilmente impossibile, calcolare il dolore, l’amicizia, il silenzio, l’inquietante solitudine di certe sere, la dignità. Siamo sempre più connessi, ma anche sempre più isolati,  disorientati, impotenti, incapaci di distinguere tra reale e virtuale, privati dei corpi, delle smorfie, delle occhiate in una socialità  fredda, simulata, finta“.

Purtroppo se ne va con un po’ di amarezza, almeno questo emerge dal suo pensiero sulla sociologia che risulta “vittima del suo successo. Si è proposta come facile rimedio per studiosi sfortunati in altri campi. Nei casi migliori è divenuta giornalismo investigativo. In ogni caso, tende a perdere la visione d’insieme del sociale e la capacità di interconnettere in modo creativo i suoi vari aspetti”.

Ferrarotti spiega che “i sociologi odierni, probabilmente sotto la pressione del  mercato, hanno perso l’ancoraggio con le basi filosofiche da cui è nata la loro disciplina, non hanno tempo per riflettere sui loro testi classici, non sembrano avere interesse per costruire una tradizione sociologica in senso proprio. Per queste ragioni è plausibile che sfugga un aspetto essenziale: nella natura ibrida della sociologia non risiede il limite, ma il primato di questa disciplina, la cui ottica è in grado di ‘afferrare’ il reciproco condizionamento dei vari aspetti del sociale“.

Il 22 novembre uscirà il suo testamento spirituale: “Lettera ad un giovane sociologo”.

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Parthenope. Il novo racconto di Paolo Sorrentino

In un contesto in cui ormai molto è stato detto su questo nuovo film di Paolo Sorrentino, riesce difficile parlarne offrendo uno sguardo diverso.

Parthenope ci offre un nuovo, intenso ed appasionato racconto sulla storia di Napoli, meravigliosa, controversa, buia e luminosa al tempo stesso.

In questo film c’è tutta Napoli, un leitmotiv che accompagna la protagonista svelando pian piano la sua straziante bellezza.

Questo è il racconto della vita di una donna, nata negli anni Cinquanta, con parto in acqua come la dea da cui prende il nome, Parthenope, e come lei caratterizzata da una bellezza prorompente ed abbagliante.

Una bellezza potente di cui si rende presto consapevole grazie allo sguardo disinteressato di uno scrittore inglese (Gary Oldaman). Una ragazza viva e intelligente, che dovrà fare i conti con l’abisso e la superficialità di chi la guarda senza vederla.

Sin dalla nascita la storia di questa ragazza, interpretata da Celeste Dalla Porta, si intreccia con il racconto di Napoli, di cui ci vengono svelati miti e leggende, bellezze ed orrori, con un sguardo di chi ha fame di conoscenza e curiosità di vedere le cose per ciò che sono, senza etichette o stereotipizzazioni. Uno sguardo privo di buonismo o severi pregiudizi.

Non è un caso che la protagonista percorra la carriera di antropologa.

Il racconto di Paolo Sorrentino pone in parralello due universi, quello a lui noto e caro, relativo al raccono di una città antica come Napoli, le cui radici affondano in un passato lontano, fatto del mito della dea Parthenope, del miracolo del sangue di San Gennaro, dell’oro del Santo, della fede calcistica, dei bassi e dei riti camorristici. Radici che vengono conservate e tramandate. C’è la Napoli festosa, allegra, abbagliante e poi c’è la Napoli cupa, disarmante, svilente.

Altro universo è quello femminile, a cui il regista si accosta con pudore, lasciandosi condurre dallo sguardo della giovane protagonista verso la potenza della seduzione femminile, l’illusione di avere un tempo illimitato per assaporare la vita.

C’è un universo femminile che cerca di realizzare i propri sogni con determinazione, ache se questo costa caro e porta numerose rinunce, come accade per le due attrici che incontra la protagonista durante il suo percorso Flora Malva (Isabella Ferrari) e Greta Cool (Luisa Ranieri).

La fotografia e le musiche scelte sono un ancoraggio ai pensieri ed alle emozioni della giovane protagonista, che arrivano chiari ed intensi anche quando lei stessa dissimula con la mimica facciale.

Un aiuto in più per lo spettatore che, diversamente dai compagni di viaggio della ragazza, sa sempre cosa pensa. Quel “a cosa pensi” è una richiesta che si sentirà ripetere spesso nella vita, in ogni incontro, finche alla maturità sarà lei stessa ad esprimere il suo pensiero, senza più filtri e senza più il peso delle aspettative altrui addosso.

In tutta la vita l’unico con cui non ha dovuto filtrare i suoi pensieri è stato il suo professore di Antropologia, Devoto Marotta (Silvio Orlando), che ha saputo vederla ed accompagnare nella sua evoluzione, senza intromissioni ma garantendo una presenza stabile e solida sulla quale contare, con la quale relazionarsi senza l’ombra del giudizio.

Sarà sempre il suo professore a farle il regalo più grande, quello di riconciliarla con se stessa, facendola entrare nel proprio spazio familiare e presentandole il figlio (di cui durante i vari incontri si sa solo che è molto malato), riesce a mostrarle ciò che lei non riusciva più a vedere di se stessa e della propria vita la meraviglia di riscoprire la bellezza oltre la mostrusità.

Ph: Gazzetta dello sport e Sky TG24

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Il vuoto. Che tutti abbiamo provato almeno una volta nella vita

Se c’è una cosa positiva dell’entrata in scena dello streaming e della pay per view, è quella che finalmente si dà spazio ad autori e registi emergenti, che riescono a regalarti emozioni inaspettate e film non commerciali degni della settima arte. Questo è il caso de Il Vuoto di Giovanni Carpanzano.

Il film mette a confronto due vissuti e due generazioni diverse, da cui emerge un modo differente di attraversare il complesso universo dell’amore. C’è chi vuole viverlo con onestà e rispetto e c’è invece chi proprio non riesce ad essere autentico fino infondo.

La storia si apre con le aspirazioni di Giorgio (Gianluca Galati), che vuole inseguire il sogno di diventare attore, durante il suo percorso di formazione incontra Marco (Kevin Di Sole), aspirante cantante che vuole imparare a calcare la scena durante i concerti. Tra i due scocca una scintilla che porterà i protagonisti a fare i conti con la loro parte più intima e vera.

L’evoluzione della storia è accompagnata da immagini oniriche ed una fotografia accurata, che rimandano lo spettatore a percepire lo stato d’animo dei protagonisti, la fase iniziale dell’amore in cui tutto è perfetto e sembra di essere in sintonia con l’universo e poi la discesa sul piano terreno dove si fanno i conti con la realtà che sfida la resistenza dell’amore facendo cadere le maschere.

Il film si chiude con l’evoluzione e la crescita di Giorgio che riesce finalmente a realizzare se stesso, seguendo il suo personale filo rosso; immagine che troviamo nelle prime scene del film e che rimanda alla cultura giapponese secondo la quale ognuno di noi nasce con un invisibile filo rosso legato al mignolo della mano sinistra che porterà verso la persona a cui siamo destinati.

Il Vuoto rimanda allo stile Felliniano per quanto riguarda il modo di raccontare personale ed autobiografico, ma si trova traccia anche dello stile di Pasolini con l’utilizzo del bianco assoluto e del nero che danno la possibilità allo spettatore di rimanere agganciato alla scena senza altre alterazioni visive. Infine c’e un’atmosfera onirica, in certe scene, surreale che rimanda allo stile di David Lynch.

Un film complesso, che affronta argomenti delicati, a tratti tristi, ma riesce comunque a regalare una sensazione di armonia.

Offre uno sguardo alternativo al mondo del cinema contemporaneo, in un epoca dove si punta sempre più al sensazionalismo ed al prodotto commerciale, Il Vuoto rappresenta quello che un tempo veniva definito film d’autore.

Regia di Giovanni Carpanzano, nel cast: Gianluca Galati, Kevin Di Sole, Paola Lavini, Valentina Persia. Distribuito da Indaco Film

Per tutte le novità sul film e sul cast seguire il profilo instagram Il Vuoto

Il Vuoto. Scena del film

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Addio a Domenico De Masi

Lo scorso sabato (il 9/9/2023) ci ha lasciati il professore Domenico De Masi. Era Professore Emerito di Sociologia del lavoro all’Universita La Sapienza di Roma, io l’ho conosciuto proprio lì, ormai tanti anni fa, durante le sue lezioni. Ormai è passato tanto tempo, e quel tempo duro un semestre dopo il quale diedi l’esame. L’avevo scelto come materia complementare, Sociologia del lavoro, perché pensavo mi avrebbe dato informazioni in più per il mio futuro lavorativo, fu una scelta felice di cui conservo un ricordo ancora vivo. Ho visto un uomo appassionato del proprio lavoro, che cercava attraverso i suoi studi una strada che portasse ad un paese migliore. Ad iniziare dai suoi studenti ai quali consigliava di cercare sempre l’imprevisto, la deviazione dalla strada dritta, l’inaspettato, perché porta all’intuizione ed a nuove forme di pensiero.

Era sostenitore del tempo libero, i lavoratori non dovevano rinunciarvi, a noi studenti diceva sempre: “andare ad una mostra o cambiare strada per andare a lavoro può generare un’idea nuova, che stavamo aspettando e che bloccati in ufficio, nella routine non riuscivamo a vedere”. Per lui era fondamentale il benessere dei lavoratori, perché un lavoratore felice è più produttivo.

L’ho incontrato recentemente il professor De Masi, inaspettatamente, era febbraio ed ero andata alla presentazione del libro di un altro professore de La Sapienza, Piero Bevilacqua, nonché autore di numerosi libri. Ho subito rivissuto i momenti dell’Università e per un attimo mi è sembrato di essere ancora lì, al tempo in cui tutto era ancora possibile. Ho sentito nuovamente quella passione che lo accompagnava quando introduceva il libro di Bevilacqua.

Memore di quell’ultimo incontro, ho chiesto al prof. Piero Bevilacqua, che lo ha conosciuto meglio di me, sia come collega che come amico, di poter pubblicare il suo personale ricordo del prof. De Masi e lui gentilmente ha acconsentito.

“Abbiamo perduto un grande studioso, un sociologo di statura internazionale, esperto del mondo del lavoro e capace di prospettive coraggiose e visionarie. Era un sociologo, aggiungo, con una vasta cultura storica che utilizzava ampiamente e fruttuosamente nel suo mestiere di sociologo.

Il suo corposo libro sul lavoro nel ‘900, pubblicato da Einaudi ne costituisce una testimonianza davvero esemplare.
Ma Domenico, Mimmo per gli amici, era un grande intellettuale, di letture ampie e di frequentazioni assai vaste. Aveva conosciuto non solo Lula, di cui era amico, ma perfino il grande scrittore argentino J.Luis Borges, era amico di Pasolini, Moravia, della Wertmuller, ecc.
Era un uomo politicamente impegnato, continuamente a lavoro per diffondere cultura, formazione, sapere, con la volontà di aiutare la parte debole della società. Ma poi era una persona, posso dirlo senza enfasi, di elevate qualità umane. Gentile, modesto, ironico e sorridente, con quella bonomia meridionale che dovrebbe costituire un dato antropologico dell’umanità futura, mi informava dei sui trascorsi senza nessuna boria, quasi a volerli sminuire.

Purtroppo l’ho conosciuto personalmente tardi. Solo due, tre anni fa, pur avendolo avuto collega per tanti anni alla Sapienza, ma in Facoltà separate. E come accade come quando c’è una comunanza profonda di sentimenti, siamo quasi diventati fratelli subito.

Avevamo preso la bella abitudine di incontrarci ogni tanto, di mattina, in un appartato baretto dietro Palazzo Braschi, di fronte a Piazza Navona. E lì parlavamo di tutto senza rifiatare un istante, soprattutto di politica. Era un vero godimento intellettuale conversare con lui e anche quando non concordavamo su alcune questioni, tutto avveniva con una ironica cordialità, il dissenso non faceva cambiare in nulla il corso e il tono della discussione.

Un paio di settimane fa, per telefono, mi aveva detto del tumore al pancreas: la peggiore notizia che una persona può udire dalla bocca di un amico, un annuncio di morte. C’era una speranza, perché il cancro si trovava alla coda, che in tanti casi è operabile e garantisce la guarigione. L’ho richiamato venerdi per avere novità e mi ha risposto con voce sofferente, dicendo che era al Gemelli, sottoposto a continue e dolorose analisi. Ma ha aggiunto: Io comunque, resisto, ce la metto tutta.

E invece il nostro Mimmo ha perso la sua ultima battaglia, quella che prima o poi perdiamo tutti. Davvero ci mancherà un compagno prezioso, un grande compagno di lotta. Di queste rare figure abbiamo un gran bisogno, perché chi non capisce che il mondo è una arena di conflitti, dove chi ha potere cerca di schiacciare i più deboli, non ha compreso nulla della realtà o sonnecchia con
indifferenza nel retrobottega della storia.”

Per conoscere meglio il lavoro e le opere del prof. De Masi potete visitare il suo sito.

Ph: Spam Roma

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Dalla antropologia del quotidiano alla teoria dei non luoghi. Addio a Marc Augè

Lo scorso 24 luglio il Festival filosofia di Modena ha annunciato la scomparsa dell’antropologo francese Marc Augè, di cui era membro del comitato scientifico dal 2009.

Nato a Poitiers il 2 settembre 1935, aveva 87 anni, si è da sempre occupato di antropologia, la sua carriera iniziata come direttore degli studi presso L’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, è proseguita con gli studi antropologici in Africa occidentale.

Il massimo della notorietà arriva quando inizia a dedicarsi all’antropologia del quotidiano, studia in fatti tutti quei luoghi topografici adibiti al consumo di massa (autogrill, centri commerciali, alberghi), elaborando la teoria dei non luoghi, la loro caratteristica è quella di essere privi di storia, identità, relazioni, di memoria.

Spazi estranianti e deculturalizzati e dunque vuoti e distanti da ciò che in senso antropologico è rappresentazione di luogo.

Tra le opere tradotte di Marc Augè ricordiamo:

  • Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità (Elèuthera, 1993);
  • Tra i confini. Città, luoghi, interazioni (Bruno Mondadori, 2007);
  • Il mestiere dell’antropologo (Bollati Boringhieri, 2007);
  • Il bello della bicicletta (Bollati Boringhieri, 2009);
  • Il metrò rivisitato (Raffaello Cortina Editore, 2009);
  • Per un’antropologia della mobilità (Jaca Book, 2010);
  • Straniero a me stesso(Bollati Boringhieri, 2011);
  • Futuro (Bollati Boringhieri, 2012);
  • Per strada e fuori rotta (Bollati Boringhieri 2012);
  • Le nuove paure (Bollati Boringhieri, 2013);
  • Etica civile: orizzonti (con Laura Boella, Edizioni Messaggero Padova, 2013);
  • I paradossi dell’amore e della solitudine (Consorzio Festivalfilosofia 2014);
  • L’antropologo e il mondo globale (Raffaello Cortina Editore, 2014);
  • Il tempo senza età. La vecchiaia non esiste (Raffaello Cortina Editore, 2014);
  • Fiducia in sé, fiducia nell’altro, fiducia nel futuro (La Compagnia della Stampa, 2014);
  • La forza delle immagini (con Umberto Eco e Georges Didi-Huberman, Franco Angeli Editore, 2015);
  • Le tre parole che cambiarono il mondo (Raffaello Cortina Editore, 2016);
  • Un altro mondo è possibile (Codice Edizioni, 2017);
  • Sulla gratuità. Per il gusto di farlo! (Mimesis Edizioni, 2018);
  • Chi è dunque l’altro? (Raffaello Cortina Editore, 2019);
  • Condividere la condizione umana. Un vademecum per il nostro presente (Mimesis Edizioni, 2019). 

PH: Paese Italia Press

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